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Channel: Progetto Condor – Pagina 26 – IsAG // Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie
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«All’Europa serve più politica». Tiberio Graziani intervistato dal “Sole 24 Ore”

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Il 16 aprile Il Sole 24 Ore ha dedicato ampio spazio alla minaccia del presidente francese Nicolas Sarkozy di sospendere gli accordi di Schengen, proprio mentre si discutere d’allargarli anche a Bulgaria e Romania. La giornalista Chiara Bussi ha interpellato a proposito Tiberio Graziani, direttore di Geopolitica e presidente dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG). L’intervista compare a p. 10 dell’edizione odierna.

Il direttore Graziani ha ammonito che «un’Europa fortezza, chiusa in se stessa e isolata dal resto mondo, non ha futuro», e che senza «una vera unione politica un’area di libera circolazione resterà di fatto sempre incompiuta ed in balìa delle derive nazionaliste». Ciò non toglie che l’area Schengen sia «una conquista immensa, perché ha fatto da volano alla creazione di un vero mercato unico», avvantaggiando più di tutti proprio Francia e Germania. Certo in un momento di crisi riaffiorano «le tentazioni alla chiusura», ma quella di Sarkozy è giudicata da Graziani una semplice sparata elettorale per conquistarsi i voti dell’estrema destra.

Quello dell’allargamento a est, secondo il Direttore di Geopolitica, è solo uno «pseudo-problema»: la priorità per l’Europa sarebbe «riflettere sul ruolo che intende giocare nello scacchiere internazionale». A suo giudizio «non basta abbattere le frontiere, ma occorre fare di più per accrescere la sicurezza interna». Il pacchetto di proposte della Commissione UE, a giudizio del direttore Graziani, non è un passo nella giusta direzione: mentre all’Europa serve «una gestione politica», esso punta verso «una nuova burocratizzazione».

L’intervista integrale può essere letta cliccando qui.


La Russia, l’Italia e il Mediterraneo in epoca di crisi: T. Graziani al Forum Italo-Russo alla Sapienza

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Giovedì 26 aprile 2012, presso la Sala del Senato Accademico nel Palazzo del Rettorato dell’Università “Sapienza” di Roma, ha avuto luogo il Forum italo-russo Due sistemi a confronto per comuni strategie di progresso. L’iniziativa è stata promossa e sostenuta dal Centro di Studi Russi, sezione romana della fondazione Russkiy Mir di Mosca sotto la direzione della dott.ssa Natalia Fefelova, in collaborazione con il primo Ateneo romano e con l’Istituto EURISPES. A margine del seminario è stato siglato un accordo di cooperazione tra l’Istituto per l’Europa dell’Accademia delle Scienze della Federazione Russa e il CEMAS (Centro per la cooperazione con l’Eurasia, il Mediterraneo e l’Africa Subsahariana dell’Università “Sapienza”), diretto dal prof. Antonello Biagini, prorettore per la Cooperazione e i Rapporti Internazionali, che ha aperto i lavori del Forum. La stipula di tale accordo costituisce senz’altro un indicatore concreto della trasversalità con cui viene oggi recepita – nei circuiti accademici, imprenditoriali e diplomatici di entrambi i Paesi – la necessità di un potenziamento costante dell’interscambio bilaterale.

Un momento dei lavori del Forum

In rappresentanza della Federazione Russa è intervenuta una delegazione dell’Istituto per l’Europa: il direttore Nikolay Shmelëv, economista di fama internazionale e direttore della rivista Sovremennaja Evropa, organo ufficiale dell’Istituto; il vice-direttore Alexey Gromyko, rappresentante della Federazione al Consiglio NATO-Russia; Valentin e Sergey Fëdorov, specialisti russi rispettivamente della Germania e della Francia; Marina Kargalova, Consigliere Esperto per i problemi sociali per la Duma della Federazione Russa. Tra i relatori italiani figuravano (in rappresentanza dell’EURISPES) il presidente Gian Maria Fara ed il segretario generale Marco Ricceri; il direttore dell’Istituto per gli Affari Internazionali Ettore Greco; il prof. Giuseppe Sacco dell’Università di Roma Tre; il direttore del Centro per gli Studi Strategici Internazionali dell’Università di Firenze Umberto Gori. In qualità di presidente dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) è intervenuto il dott. Tiberio Graziani, direttore di Geopolitica, proponendo un’analisi delle potenzialità del rapporto fra Italia e Russia nel più ampio quadro di consolidamento del gruppo BRICS durante la fase attuale che, secondo la sua stessa definizione, può essere descritta come “la transizione uni-multipolare”.

Un momento del Forum

Tale prospettiva, che costituisce d’altronde l’approccio interpretativo del primo numero della rivista Geopoliticanumero monografico dedicato alla Federazione Russa – rappresenta idealmente l’anello di congiunzione fra i temi delle tre sessioni in cui sono stati divisi i lavori: “Russia e Italia, società in cambiamento”, “Politiche per l’Europa e il Mediterraneo” e “Processi di modernizzazione e prospettive di crescita”. A fronte della sottolineatura di singoli elementi d’analisi, emersi di volta in volta negli interventi di ciascun relatore, nel suo insieme la discussione ha manifestato infatti la condivisione di alcuni punti di fondo. Sia da parte russa che italiana ci si è soffermati ad esempio sulla critica verso quella che ormai è d’uso rappresentare come la deriva “tecnocratica” delle istituzioni europee, in risposta alla quale appare sempre più urgente la ricerca di fondamenti etico-politici comuni e di incentivi concreti per rilanciare l’economia reale. L’intensificazione dei legami con un partner importante quale la Federazione Russa rappresenta in questo senso un auspicio comune.

In primo piano Dario Citati, ricercatore IsAG. Alla sua sinistra, di spalle, il presidente Graziani

Relativamente alle relazioni russo-italiane, è ormai noto che la cooperazione commerciale ha costituito sinora uno dei vettori di comunicazione privilegiati fra i due Paesi, talora supplendo ad un’intesa politica senz’altro più discontinua. Il rafforzamento ulteriore di questo tipo di legame, attraverso un sostegno sistematico agli investimenti reciproci, diviene pertanto un moltiplicatore di opportunità per il futuro prossimo anche per reagire alla crisi economica. Allo stesso tempo, le prospettive di partenariato tra Federazione Russa e Repubblica Italiana assumono un profilo ancora più strategico se lette in una chiave propriamente geopolitica. Nella misura in cui si riconosca la dovuta rilevanza agli spazi regionali che formano la massa continentale euro-afroasiatica, appare assolutamente pertinente conferire alla penisola italiana la funzione di perno nel Mar Mediterraneo. In virtù della sua collocazione geografica, l’Italia ha la possibilità non solo di fungere da spazio di mediazione fra i Paesi rivieraschi – raccordo longitudinale fra Nord Africa ed Europa – ma anche di rappresentare la sponda di un asse di collegamento orizzontale. La capacità di scongiurare le minacce di balcanizzazione del cosiddetto “Mediterraneo allargato” – ovvero la cerniera terracquea che attraverso il Mar Nero, la penisola anatolica ed il Mar Caspio estende l’area mediterranea sino all’Asia Centrale – è in quest’ottica l’imperativo geopolitico cui la Russia e l’Italia devono adempiere sia per dare alle relazioni bilaterali una prospettiva di lungo periodo, sia soprattutto per contribuire alla stabilizzazione dell’intera regione. D’altra parte, il crescente interesse da parte russa verso i destini del nostro Paese, anche in ragione della sua posizione strategica, è testimoniato dalla pubblicazione recente di un volume collettaneo dal titolo alquanto significativo: Na perekrëstke Sredizemnomor’ja: “Italj’anskij sapog” pered vyzovami XXI veka, pod. red. T. V. Zonovoj, Moskva 2011 (Al bivio del Mediterraneo: lo “Stivale” davanti alle sfide del XXI secolo). Presentato nel corso dei lavori del Forum, il volume raccoglie sedici contributi di autori russi e due di autori italiani (G. M. Melchionni e M. Ricceri), spaziando dalle questioni di politica interna al ruolo del Vaticano, dal commercio con la Russia all’evoluzione della diplomazia italiana, dalle ripercussioni della crisi economica all’immagine dell’Italia in Russia.

Come investire in Brasile: modi e opportunità

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Investire in Brasile: modi e opportunità

Conferenza con l’incaricato d’affari dell’Ambasciata brasiliana

 
Scarica la presentazione in pdf

 
L’economia del Brasile è la sesta più grande al mondo per PIL, e molti prevedono che quest’anno scalerà una nuova posizione. Tra le grandi economie è infatti una di quelle che crescono più rapidamente. Il Brasile è il più grande paese latinoamericano per dimensioni sia geografiche sia economiche, e non a caso è oggi il perno dei progetti d’integrazione regionale che hanno visto una recente accelerazione, con la nascita dell’UNASUR e della CELC. Come partner commerciale, l’Unione Europea si situa seconda a poca distanza dal complesso dei paesi latinoamericani.

IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie) e Studio Legale Associato NCTM, in collaborazione con l’Ambasciata della Repubblica Federativa di Brasile, dopo il successo della conferenza sul BRICS del 24 febbraio precedente hanno organizzato un nuovo evento, per offrire un’occasione d’incontro e discussione tra operatori economici italiani, esperti d’internazionalizzazione e rappresentanti diplomatici del Brasile.

La conferenza si è svolta martedì 8 maggio 2012 a Roma, dalle ore 14.30, presso la sede di NCTM in Via delle Quattro Fontane 161. Il programma in pdf può essere scaricato cliccando qui.

La galleria fotografica dell’evento è disponibile nella pagina Facebook dell’IsAG [clicca].
La cronaca dell’evento, redatta da Simona Bottoni, si può leggere nel sito di Geopolitica [clicca].

Presentazione del primo numero di “Geopolitica” a Soresina

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Martedì 22 maggio 2012, alle ore 21.00, presso Edicolè di Via IV Novembre 19 a Soresina (CR), è stato presentato il primo numero di Geopolitica, la rivista dell’IsAG, dal titolo Vent’anni di Russia.

E’ intervenuto Eliseo Bertolasi, antropologo (Università Bicocca di Milano) e ricercatore associato dell’IsAG, autore di un contributo al numero dal titolo L’impatto delle politiche neoliberiste in Russia dopo il crollo dell’Unione Sovietica.

Per scaricare la locandina in formato PDF cliccare qui.

“Russia ed Europa: le prospettive di un dialogo”: tavola rotonda alla Commissione Europea in Italia

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Giovedì 24 maggio, alle ore 10.30, si è tenuta la tavola rotonda “Russia ed Europa: le prospettive di un dialogo” presso la sede della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea (Via IV Novembre 149 Roma). L’evento è inserito nel quadro del Dottorato di ricerca in Storia d’Europa dell’Università La Sapienza e organizzato dal Centro Studi Russi dell’Università la Sapienza di Roma, la Fondazione Russkij Mir in collaborazione con l’EURISPES, l’Institut de la Démocratie et de la Coopération (IDC) di Parigi e l’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG).

Sono disponibili:

• Resoconto della conferenza pubblicato nel sito di Geopolitica il 27 maggio 2012 [vedi];

• Album fotografico dell’evento pubblicato sulla pagina Facebook dell’IsAG [vedi]);

Solo un’Europa sovrana può dialogare con la Russia, testo dell’intervento di John Laughland, pubblicato nel sito di Geopolitica il 2 giugno 2012 [vedi];

Breve nota sul dialogo euro-russo nel contesto della transizione geopolitica unimultipolare, testo dell’intervento di Tiberio Graziani, pubblicato nel sito di Geopolitica il 28 maggio 2012 [vedi].

“Vent’anni di Russia” al Centro Russo di Scienze e Cultura con N. e E. Narochnickaja

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Nella maestosa cornice barocca di Palazzo Santacroce a Roma, sede del Centro Russo di Scienze e Cultura, lo scorso 24 maggio si è tenuta una conferenza per presentare Vent’anni di Russia, il primo numero di Geopolitica, la rivista dell’IsAG. L’evento è stato organizzato dall’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) in collaborazione con il Centro Russo di Scienze e Cultura (rappresentanza in Italia di Rossotrudničestvo, agenzia del Governo federale di Mosca), ed ha rappresentato una preziosa occasione per discutere dell’importante anniversario, esaminando gli scenari attuali e quelli che si prospettano per il futuro delle relazioni tra la Russia e l’Europa, e nello specifico tra Mosca e Roma.

Sono disponibili:

• Resoconto della conferenza, di Serena Bonato, pubblicato nel sito di Geopolitica il 30 maggio 2012 [vedi];

• Album fotografico della conferenza, pubblicato nella pagina Facebook dell’IsAG [vedi].

Presentazione del primo numero di “Geopolitica” all’Associazione Italia-Russia di Bergamo

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Lunedì 28 maggio la sezione di Bergamo dell’Associazione culturale Italia-Russia ha presentato il primo numero di Geopolitica, intitolato Vent’anni di Russia. Ha partecipato in rappresentanza dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) Eliseo Bertolasi, autore di un contributo, contenuto nella monografia, intitolato L’impatto delle politiche neoliberiste in Russia dopo il crollo dell’URSS.

L’incontro si è svolto alle 18.30 presso il Centro “La Porta” di Viale Papa Giovanni XXIII 30 a Bergamo. Oltre alla presentazione di Vent’anni di Russia da parte del dott. Bertolasi, ricercatore associato dell’IsAG, vi è stato anche l’intervento di Aldo Ferrari, docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia, responsabile di programmi di ricerca presso l’ISPI e vice-presidente dell’Associazione per lo Studio in Italia dell’Asia Centrale e del Caucaso (ASIAC). Il professor Ferrari ha presentato infatti il suo nuovo libro La foresta e la steppa. Il mito dell’Eurasia nella cultura russa.

La presentazione completa (in formato pdf) dell’evento può essere letta cliccando qui. Di seguito la cronaca dell’evento.

 
La sera del 28 maggio a Bergamo, presso il centro “La Porta”, grazie ad un’iniziativa dell’Associazione Italia – Russia (sezione di Bergamo) con la collaborazione dell’Associazione culturale “Alle radici della comunità” è stata promossa una conferenza interamente dedicata alla Russia.

I relatori della serata: il professor Aldo Ferrari, docente di Lingua e Letteratura Armena e Storia del Caucaso presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, responsabile dei Programmi di Ricerca “Russia/Vicini Orientali” e “Caucaso/Asia Centrale” presso l’ISPI di Milano, vicepresidente dell’Associazione per lo Studio in Italia dell’Asia centrale e del Caucaso (ASIAC); e il dottor Eliseo Bertolasi, dottorando di ricerca in Antropologia della contemporaneità all’Università di Milano Bicocca, dove si occupa della “Questione identitaria dei popoli slavi”, ricercatore associato all’IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie). I relatori sono stati introdotti dal dottor Stefano Citterio, vice-segretario della sezione di Bergamo dell’Associazione Italia-Russia.

Eliseo Bertolasi ha iniziato la sua relazione presentando il primo numero della rivista Geopolitica, monografia interamente dedicata ai Vent’anni di Russia. Il 26 dicembre 1991 veniva ammainata la bandiera sovietica dal Cremlino, fatto che decretò la fine, dell’Unione Sovietica. Nasceva ufficialmente la Federazione Russa indipendente. A distanza di vent’anni da quegli eventi cruciali non solo per i destini d’una nazione, ma per il mondo intero ed i suoi equilibri geopolitici, Geopolitica ha scelto di dedicare il suo primo numero all’analisi di quelli che sono stati i primi tormentati due decenni di vita della Federazione Russa: quale lo stato attuale e quali le prospettive per il futuro? Proprio mentre Vladimir Putin si è di nuovo reinsediato al Cremlino.

Nello specifico Eliseo Bertolasi, facendo riferimento ai primi turbolenti anni della Federazione Russa, ha trattato il tema: “L’impatto delle politiche neoliberiste in Russia dopo il crollo dell’Unione Sovietica” (titolo dell’articolo dello stesso Bertolasi contenuto nel numero di Geopolitica). Cosa causò nell’immediato, in Russia, il crollo dell’Unione Sovietica? Cosa accadde realmente al popolo russo in quegli anni all’impatto con le politiche neoliberiste? Quali, nel Paese, le conseguenze di tale cambiamento? Fame, povertà, disperazione e soprattutto delusione non solo in Russia ma anche nella maggior parte dei Paesi dell’ex-Unione Sovietica.

Secondo uno studio condotto dall’Università di Oxford, intitolato: Mass privatisation and the post-communist mortality crisis: a cross-national analysis (31/01/2009), pubblicato su una delle più autorevoli riviste mediche internazionali, “The Lancet”, è stato dimostrato che a causa delle politiche di privatizzazione di massa condotte nella ex-Unione Sovietica dopo la caduta del comunismo, morirono circa un milione di persone. La tremenda cifra è la trasposizione di quel 12,8 % di aumento della mortalità che lo studio su Lancet ci mostra essere direttamente legato, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, all’aumento della disoccupazione e alle dure condizioni di vita dovute all’applicazione ortodossa delle politiche neoliberiste.

Oltre che ad una approfondita analisi di tale cambiamento, sia nella sua scansione storica che nella cornice di autorevoli teorie dell’antropologia medica ed economica, Eliseo Bertolasi non ha potuto far a meno di raccontare, come testimonianza diretta di tali eventi, alcuni suoi toccanti ricordi dai soggiorni nella Russia di quegli anni.

In continuità “fisiologica” col precedente intervento, ha preso la parola Aldo Ferrari che trattando il tema “Putin e l’opzione eurasista” ha presentando la nuova edizione del suo volume La foresta e la steppa. Il mito dell’Eurasia nella cultura russa.

Il volume, estremamente curato nell’indagine storico-culturologica e nella ricerca bibliografica, indaga sulla definizione dell’identità russa sviscerando la sua innegabile componente orientale. Le complesse e variegate relazioni, storiche e ideali, del mondo politico e culturale russo con un Oriente “prossimo e consonante” si dipanano in modo articolato in questa attenta e suggestiva esplorazione del tema in senso diacronico e multidisciplinare, evidenziando in vari ambiti (filosofia, letteratura, arte, politica) alcuni momenti di effettiva interazione e altri, invece, di più sfocata compenetrazione. Nella multiforme esperienza culturale russa la componente asiatica del vasto Impero Russo ne consolida la sua dimensione “bicontinentale” e “multiculturale”. L’ampio spazio dedicato in questo studio all’eurasismo parte innanzi tutto da un’accurata esposizione delle teorie degli anni Venti e Trenta (Trubeckoj, Vernadskij, Savickij, Jakobson, Alekseev), momento fondante ma concettualmente non definitivo dell’elaborazione ideologica del movimento, che continua con i successivi studi sulle popolazioni nomadi di Gumilev, ideale trait d’union tra l’eurasismo classico e quello contemporaneo. La ripresa di interesse per questa teoria in epoca post-sovietica nasce dalla rinnovata ricerca di una identità russa che proprio nella sua variante neo-eurasista si propone come alternativa sia a quella filo-occidentalista sia a quella etno-nazionalista. Alla fine del volume viene condotta una disamina della ricezione della ideologia eurasista in correnti politiche contemporanee (estrema destra e nazional-comunismo), giungendo a più ampie considerazioni su un possibile fecondo nuovo orizzonte identitario neo-eurasista quale modello geopolitico adeguato alla Russia del XXI secolo (“Russia, URSS, Eurasia”), nell’ambito di una visione mondiale multipolare.

«Contro la Russia una guerra dell’informazione» – Tiberio Graziani a “La Voce della Russia”

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Alcuni giorni fa Tiberio Graziani, presidente dell’IsAG e direttore di “Geopolitica”, è stato intervistato dall’emittente radiofonica “La Voce della Russia” a proposito dei recenti disordini di Mosca che hanno portato al fermo d’alcuni capi dell’opposizione russa. La fonte originale (con audio) è raggiungibile cliccando qui.

 
Siete sempre sintonizzati sulle onde de La Voce della Russia. Sulla scia delle proteste dell’opposizione a Mosca (in cui ricordiamo i leader dei manifestanti Navalnyj e Udalzov, per resistenza a pubblico ufficiale, hanno scontato 15 giorni di arresto amministrativo) la nostra radio ha intervistato alcuni esperti sulle norme in vigore in Europa e la loro efficienza, sulle multe e sulle pene per chi occupa il suolo pubblico o oppone resistenza alle forze dell’ordine. Ascoltiamo Tiberio Graziani, direttore della rivista Geopolitica e presidente dell’Istituto di alti studi in geopolitica e scienze ausiliarie:

Questo è un grande problema, perché investe diversi aspetti della vita sociale italiana. Ad esempio, alcune norme per l’ordine pubblico, in particolare negli stadi, quindi quando ci sono manifestazioni negli stadi e le partite di pallone. Si è tentato, negli ultimi anni, di porre leggi abbastanza rigide per non far entrare gli ultrà negli stadi anche con pene detentive e con multe. Questo è un tema molto dibattuto in Italia, per quanto riguarda le manifestazioni sportive.
Poi vi sono in un senso più largo delle leggi relative all’ordine pubblico, per le manifestazioni di tipo politico. Ci sono vari permessi da chiedere, vanno comunicati alla prefettura, per l’occupazione di spazio pubblico. Se ne assume la responsabilità chi fa la richiesta.
Per questo riguarda se le leggi sono severe o meno, questo è un aspetto che rientra nei casi specifici, è quindi molto relativo. Ad esempio, ci sono state delle violente manifestazioni anni fa a Genova, durante il G8. In quel caso la polizia ha avuto la mano un po’ forte, per cui vi sono stati dei processi anche contro alcuni agenti della polizia. Ovviamente, in quel caso c’è stata una grande difficoltà da parte del Ministero degli Interni di attivare misure preventive. Anche il sistema giuridico probabilmente non ha molto aiutato.
Molto probabilmente, la questione delle manifestazioni di massa è un problema di tutte le società moderne democratiche. Il fatto di tentare di arginarle con le leggi è chiaramente un aspetto, un’azione che si può perseguire.
Però non è soltanto questo. Forse, quello che dovrebbe aiutare, dovrebbe essere proprio la decisione politica: quindi, il ceto politico se ne dovrebbe far carico.

Passiamo alle multe. Secondo Lei, è un meccanismo efficiente per prevenire i disordini, gli scontri, le violenze. Cioé si può pagare per la libertà di parola?

E’ un argomento interessante, per come ha posto chiaramente la domanda. Le multe disincentivano, questo è evidente. Perché se le leggi non vengono osservate, è evidente che quando si va a toccare la tasca del cittadino, il cittadino spesso ci pensa due volte. Però è anche vero quanto Lei stava dicendo: naturalmente, la libertà non si può pagare, la libertà non ha prezzo.
Ci sono degli spazi che devono essere salvaguardati dalle manifestazioni, che sono degli spazi a mio avviso simbolici, simboli della sovranità del paese. Non sono luoghi di manifestazione, perché lì si va ad attentare, a mio avviso, alla sovranità della nazione.
Quanto al fatto di pagare la libertà, non è una cosa che a me piace molto, però è una prassi che viene utilizzata in diversi Stati, basti pensare al sistema di cauzione degli Stati Uniti, per esempio.

Allora le norme esistenti in Italia sono sufficienti o vanno perfezionate?

Le norme sono tutte perfettibili. Le norme nascono sempre in momenti storici particolari, poi l’evoluzione della società chiaramente determina il fatto che alcune leggi diventano obsolete e non sono più così efficaci. Questo accade anche in Italia, le leggi, molto probabilmente, non sono tutte così efficaci.
Ma tutto è demandato al giudice che dovrà amministrare la giustizia e far eseguire le disposizioni di legge.

Con l’immagine che è stata data alle ultime manifestazioni alla vigilia dell’insediamento di Putin, la Russia sarebbe un paese democratico o meno?

L’immagine che è stata data in Italia e da tutti media cosiddetti occidentali, è un immagine volta a demolire l’immagine del nuovo presidente, di Putin. E’ una manipolazione dell’informazione a mio avviso, eterodiretta, che tenta di allontanare i normali rapporti che ci dovrebbero essere tra una nazione e un nuovo presidente di un’altra nazione, con cui collaboriamo e siamo partner in alcuni casi anche strategici.
In questo caso credo che questa cattiva immagine che i giornali italiani hanno riportato, si inserisce proprio in una sorte di guerra di propaganda che il sistema occidentale a guida statunitense, ormai da dodici anni, ha mosso e persegue contro la Russia di Putin.
Oserei dire che la nuova Russia, negli ultimi 12 anni, è stata in grado di rialzare la testa e riorganizzarsi internamente e diventare nuovamente un attore globale. E questo è molto importante a mio avviso, per l’intero pianeta, perché basta considerare la mappa geografica e quell’estensione geografica della Russia e il suo ruolo nella massa geopolitica euroasiatica. Una Russia serena, forte e organizzata rappresenta un elemento equilibrante, una Russia che fa bene all’intero sistema internazionale.

Avete ascoltato l’intervista esclusiva che il dottor Tiberio Graziani, presidente dell’Istituto di alti studi in geopolitica e scienze ausiliarie, ha rilasciato a La Voce della Russia.
Alla prossima! E’ stata con voi Anna Gromova.


Guerra d’informazione e controllo del discorso internazionale. Daniele Scalea all’IRIB

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Daniele Scalea, segretario scientifico dell’IsAG e condirettore di “Geopolitica”, è stato intervistato da “Radio Italia” dell’IRIB a proposito della guerra dell’informazione. La fonte originale è raggiungibile cliccando qui. Di seguito l’audio e la trascrizione.

 

Ultimamente si sente molto parlare di “guerra di informazione”. Ci potrebbe spiegare che cosa significa?

Prendiamola alla lontana. Le guerre sono fatte da persone: coinvolgono Stati, nazioni e popolazioni. Chi vuole una guerra ha l’esigenza di giustificarla agli occhi sia dei decisori – ossia di chi concretamente decide di farla – sia delle popolazioni – ossia di chi la combatte. Ancora oggi che, soprattutto in Occidente, si è andati verso una professionalizzazione delle forze militari e le guerre sono combattute lontano dai confini nazionali, pur non essendovi più una sofferenza diretta in termini di perdita ingente di vite umane, c’è comunque la questione legata ai costi. Le guerre costano, e sono scaricate sulla pressione fiscale. Tra l’altro, in epoca moderna si è aggiunto un altro fattore: il diffuso pacifismo. E’ aumentata la resistenza ideologica alle guerre, che rende più difficile giustificarle.
La necessità di giustificare una guerra si lega al tema della propaganda e delle rappresentazioni. Fin dai tempi più antichi il nemico si è dipinto come colui che è in torto: v’era già in nuce la propaganda moderna, con la differenza che gli autori di quest’ultima sono Stati più ampi o quanto meno meglio organizzati, più capaci di diffondere capillarmente certi messaggi, e con a disposizione le tecnologie dei media di massa. L’invenzione della radio e poi della televisione ha permesso un evidente salto di qualità alla propaganda.
Qui nasce la “guerra d’informazione”. Infatti, tramite i messaggi che vengono dati non solo si riesce a motivare la propria popolazione; non solo gruppi di pressione pubblici o privati possono spingere i decisori a deliberare per la guerra; ma si può anche legittimare la propria azione verso l’esterno, presso gli altri popoli e Stati, e minare la coesione e il morale del nemico. In quest’ottica sono importanti non tanto i mezzi di comunicazione di cui dispone uno Stato o un gruppo di pressione all’interno della nazione, quanto il controllo dei media a livello internazionale.
Questo è uno dei punti di forza degli USA. Chi controlla l’informazione negli USA ha anche una fortissima influenza all’esterno, se non tramite controllo diretto di media stranieri, avvalendosi dell’influenza che quelli interni hanno sul resto del mondo. Ciò che viene detto dalla CNN, o da agenzie di stampa anglosassoni (vedi la Reuters), ha una risonanza globale: arriva in pressoché tutti i paesi ed è generalmente preso come verità assoluta. Questo significa poter controllare il discorso: decidere quali notizie possono circolare e quali no, ed eventualmente anche manipolarle.
Questo è l’aspetto più generale della guerra d’informazione.

Qual è secondo lei il motivo della crescente dipendenza dell’Occidente dalla tecnologia dell’informazione?

Una dipendenza crescente che mira però a fare perno su quello che è un punto di forza oggettivo dell’Occidente – qui inteso principalmente come il mondo anglosassone, da cui diparte il potere mediatico cui sono soggetti anche i media europei continentali. Questo potere mediatico è un grosso vantaggio, perché permette di definire il discorso a livello mondiale. Prendiamo il caso attuale della Siria. Abbiamo in merito due narrative contrapposte. Quella diffusa globalmente dai media anglosassoni parla di una rivolta pacifica della popolazione contro un tiranno che massacra in maniera indiscriminata; la narrativa siriana denuncia invece la penetrazione di bande armate dall’esterno che compiono atti terroristici per destabilizzare istituzioni che godono dell’appoggio della maggioranza della popolazione. Evidentemente queste due narrative non sono bilanciate: senza entrare nel merito di quale sia corretta, o se la verità stia nel mezzo, è un dato di fatto che la prima (tramite agenzie di stampa e reti televisive diffuse in tutto il mondo) si è affermata globalmente come discorso dominante, mentre la narrativa siriana rimane limitata a pochissimi paesi. Nella maggior parte del mondo non esistono canali informativi che possano anche solo provare a concorrere, foss’anche da posizione di debolezza, con la narrativa dominante di matrice anglosassone.

Secondo lei quali sono le differenze tra la guerra combattuta con armi tradizionali e la guerra d’informazione?

Una tendenza consolidata nel pensiero militare è l’allargamento dell’ambito bellico, con vari aspetti inter-dipendenti tra loro. Si discute molto anche degli strumenti bellici non militari, di cui fanno parte la speculazione finanziaria o i mezzi d’informazione. La guerra è diventata veramente totale, in quanto coinvolge tutti gli strumenti possibili, non più solo quelli militari. Ciò impedisce di fare precise e nette distinzioni. La guerra dell’informazione deve giustificare il ricorso alle armi e indebolire il morale del nemico: è solo un momento di un unico sforzo bellico che include anche la guerra tradizionale. Ad esempio, nel momento in cui si conduce una guerra d’informazione contro l’Iran, è certa la presenza all’interno del paese di sabotatori, dunque di una guerra armata, benché sotterranea; v’è poi la guerra diplomatica, la guerra economica delle sanzioni, la guerra finanziaria del blocco del SWIFT. Varie guerre, ma strettamente collegate tra loro ed indivisibili.

Le relazioni Italia-Brasile: la conferenza presso l’Ambasciata brasiliana

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Italia e Brasile sono separati da un oceano, ma uniti dalla cultura e dalla storia. Entrambi i paesi sono di civiltà latina, ed il legame è stato ulteriormente rinsaldato dall’ingente emigrazione d’italiani in Brasile. Si calcola che oltre il 15% della popolazione brasiliana sia d’origine italiana. Con 30 milioni di “oriundi”, il Brasile ospita la più numerosa comunità italiana all’estero. Numerosa è anche la presenza d’imprese italiane nel paese sudamericano: l’Italia è uno dei maggiori partner commerciali europei del Brasile, nonché un’importante fonte d’investimenti. Nel mondo globalizzato, l’interazione politica tra Roma e Brasilia non è sminuita dalla distanza geografica.

Per fare il punto sulle relazioni tra i due paesi e pensare alle modalità per migliorarle ulteriormente nel futuro prossimo, hanno organizzato questo evento IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie) e Associazione di Amicizia Italia-Brasile, con il patrocinio istituzionale dell’Ambasciata del Brasile in Italia e il contributo di IBS Italia e Think New Ltd.

La conferenza si è svolta martedì 12 giugno 2012 alle ore 17.30 a Roma, presso la Sala Palestrina di Palazzo Pamphilj, sede dell’Ambasciata della Repubblica Federativa di Brasile, in Piazza Navona 14.

Il programma integrale in versione PDF è consultabile cliccando qui.

 

PROGRAMMA

Ore 17.10 – Registrazione dei partecipanti

Ore 17.30 – Apertura dei lavori. Intervento di:
amb. José Viegas Filho (Ambasciatore della Repubblica Federativa di Brasile in Italia)

Ore 17.40 – Proiezione in anteprima di un estratto del documentario “Il Brasile che parla italiano” del avv.
Antonio Ciano; sarà presente l’Autore

Ore 18.10 – Interventi introduttivi di:
on. Fabio Porta (presidente dell’Associazione di Amicizia Italia-Brasile, deputato per la Circoscrizione
America Meridionale)
dott. Tiberio Graziani (presidente dell’IsAG, direttore della rivista Geopolitica)

Ore 18.30 – Pausa

Ore 18.40 – Interventi di (in ordine alfabetico):
dott.ssa Simona Bottoni (direttrice Programma “America Latina” dell’IsAG)
dott. Antonio Calabrò (direttore della Fondazione Pirelli)
dott. Donato Di Santo (coordinatore del Comitato Consultivo della Conferenza Italia-America Latina)
gen. Francesco Lombardi (vice-direttore del Centro Militare di Studi Strategici del Ministero della Difesa)

Ore 19.20 – Conclusioni a cura di:
cons. Luca Trifone (capo Ufficio America Meridionale, Direzione Generale per la Mondializzazione e le
Questioni Globali del Ministero degli Affari Esteri)

Modera:
dott. Enrico Verga (direttore Relazioni istituzionali dell’IsAG)

 
Da sinistra a destra: José Viegas Filho, Tiberio Graziani, Enrico Verga

La Sala Palestrina è stata gremita in ogni ordine di posti da un pubblico composto di diplomatici, imprenditori, studiosi e comuni cittadini. In apertura ha fatto gli onori di casa S.E. l’Ambasciatore del Brasile José Viegas Filho, il quale ha espresso apprezzamento per il buono stato dei rapporti tra i due paesi ed ha invitato gl’italiani a fare impresa in Brasile. Sono quindi seguiti i saluti introduttivi di Tiberio Graziani (presidente dell’IsAG e direttore di Geopolitica), il quale ha accennato al riposizionamento geostrategico del Brasile nel corso dell’ultimo decennio, e dell’onorevole Fabio Porta, che ha fatto riferimento alla nutrita comunità d’oriundi italiani in Brasile ed ai numerosi eventi (culturali, musicali, gastronomici) che, nell’ambito della manifestazione “Momento Italia-Brasile” (che si conclude questo mese), hanno avuto luogo in 16 diversi Stati brasiliani sotto l’egida del Ministero degli Affari Esteri italiano.

Da sx: Francesco Lombardi, Luca Trifone, Antonio Calabrò, Donato di Santo, Simona Bottoni e Enrico Verga

E’ quindi seguita la proiezione in anteprima d’alcuni estratti del documentario Il Brasile che parla italiano dell’avv. Antonio Ciano. Il panel successivo, moderato da Enrico Verga (direttore Relazioni istituzionali di IsAG), ha visto gl’interventi di Simona Bottoni (direttrice del Programma “America Latina” dell’IsAG), Antonio Calabrò (direttore della Fondazione Pirelli), Donato Di Santo (coordinatore del Comitato Consultivo della Conferenza Italia-America Latina) e del generale Francesco Lombardi (vice-direttore del Centro Militare di Studi Strategici del Ministero della Difesa). Le conclusioni sono state affidate a Luca Trifone, capo dell’Ufficio America Meridionale del Ministero degli Affari Esteri.

Il pubblico in sala

L’album fotografico dell’evento è disponibile nello spazio Facebook dell’IsAG: [[clicca]]
[[Clicca qui]] per il testo della relazione di Simona Bottoni.

«In Siria va privilegiata la soluzione politica, non le minacce militari»: Tiberio Graziani all’IRNA

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Tiberio Graziani, presidente dell’IsAG e direttore di Geopolitica, è stato intervistato da IRNA, l’agenzia di stampa iraniana, a proposito dei rapporti tra Italia e Siria.

Interrogato in merito dal giornalista iraniano, il presidente Graziani ha collegato le affermazioni del ministro degli Esteri Giulio Terzi sull’ineluttabilità d’un cambiamento di regime a Damasco ad una scarsa fiducia nei tentativi di mediazione tra il Governo e l’opposizione siriani. L’Italia si mostra inoltre poco sensibile tanto ai principi di sovranità e non ingerenza sanciti dal diritto internazionale, quanto alle remore di Cina e Russia sulla crisi siriana. Un eventuale intervento militare in Siria porterebbe, come già i precedenti analoghi in Iraq e Libia, a lutti, distruzioni d’infrastrutture e guerre civili. Una situazione che non gioverebbe né alle popolazioni locali né ai vicini mediterranei, tra cui l’Italia.

L’originale in farsi può essere letto cliccando qui.

Beppe Grillo e l’Iran: Daniele Scalea all’IRIB

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Daniele Scalea, segretario scientifico dell’IsAG e condirettore di “Geopolitica”, è stato intervistato da Radio Italia dell’IRIB a proposito delle polemiche recentemente scatenate dall’intervista di Beppe Grillo a un quotidiano israeliano. Di seguito l’audio e la trascrizione dell’intervista. La fonte originale può essere raggiunta cliccando qui.
 
Le polemiche scatenate dall’intervista rilasciata a un giornale israeliano dal signor Beppe Grillo appaiono alquanto sorprendenti: esprimere un diverso pensiero su USA e Israele è qualcosa di così strano in Italia?

Questa polemica ha in fondo due dimensioni. La prima è quella politica spicciola. Le cose che Grillo avrebbe dichiarato al quotidiano israeliano sono già state affermate da lui in passato, nei suoi spettacoli (in particolare il discorso sul MEMRI, la società israeliana che egemonizza le traduzioni di notizie dall’arabo per il pubblico occidentale). Il fatto che solo oggi abbiano creato tante polemiche va dunque messo in relazione con la forza elettorale che il suo movimento sta acquisendo. Una polemica creata ad uso e consumo della politica interna, dei giochi di potere tra i partiti italiani.
Entrando nel merito dei contenuti scopriamo la seconda dimensione della questione. Qui in Italia l’informazione, più che in altri paesi occidentali, ama le versioni semplificate, quasi sempre provienienti da Oltreoceano. Ciò dipende da un lato dalla fortissima influenza politico-culturale-informativa degli USA sull’Italia, dall’altro a specifiche carenze dell’informazione, della cultura e dell’accademia italiane, che tende sempre più a proporre modelli semplici per un pubblico che sta perdendo senso critico. Quella varietà di posizioni e di visioni che si poteva ravvisare nell’opinione pubblica italiana fino a qualche decennio fa si sta perdendo. Su moltissimi argomenti – dalla questione palestinese alla politica estera italiana alle strategie degli USA nel Vicino Oriente – si tende a ridurre tutto a un discorso dominante. Anche sull’Iran diventa sempre più difficile trovare delle posizioni equilibrate, che cerchino di porre le questioni in maniera più problematica rispetto al denunciare la “malvagità” intrinseca delle istituzioni persiane. In fondo Grillo non ha fatto un peana per l’Iran: ha semplicemente posto in maniera problematica la condizione femminile (da raffrontarsi non agli standard occidentali, ma a quelli degli altri paesi musulmani) o le dichiarazioni più controverse di Ahmadinejad. Perché questa problematizzazione è vista come inaccettabile e filo-iraniana? Si tratta di una conseguenza della suddetta semplificazione del discorso: quello, diciamo così, “anti-iraniano” è divenuto il discorso dominante, e ciò che vi si discosta è percepito come discorso “estremista” anche se di fatto è più equilibrato.

Sembra che criticare Israele sia quasi impossibile in Occidente. Ma il signor Grillo ha anche parlato di “occupazione statunitense dell’Italia”. Quali reazioni ha suscitato questa frase?

Questa frase ha provocato meno sdegno perché non carica della medesima pressione “morale” presente in tutto ciò che riguarda Israele; e l’Iran in questo momento, nel discorso dominante, è solo qualcosa che riguarda Israele e la sua sicurezza. In Occidente quando si parla d’Israele si parla del popolo ebraico, e quando si parla del popolo ebraico si parla della Shoah. Si è così creata una connessione automatica tra Israele e la Shoah. O meglio: è stata creata, e secondo me anche in maniera un po’ artificiale, tramite uno sforzo di soft power condotto da Israele soprattutto negli ultimi decenni, e che si è rivelato molto efficace. Pone infatti una grossa pregiudiziale – potremmo quasi dire un “ricatto morale” – quando si parla di Israele: diventa per molti naturale assumere un atteggiamento “giustificazionista” dell’operato di Tel Aviv e, di converso, esagerare qualsiasi critica o ostilità a Israele come una minaccia vitale alla sua sicurezza, un tentativo di ripetere lo sterminio.
Per gli USA non è presente questa dimensione “morale”. Ciò non toglie però che Washington abbia una fortissima influenza sull’Italia. Un discorso come quello di Grillo incontra molti ostacoli, soprattutto se qualcuno volesse cercare di tradurlo in realtà. Mi spiego: i discorsi di critica verso Israele creano ostilità in se stessi, mentre quelli verso gli USA vedono insorgere i problemi soprattutto quando si passa alla pratica. Un tentativo, magari da parte d’un Movimento V Stelle che acquisisse grosso peso nella politica italiana, di ridurre l’influenza degli USA scatenerebbe una reazione molto forte, che potrebbe assumere varie forme: una campagna stampa internazionale, attacchi speculativi sui mercati, pressioni diplomatiche ecc. Per certi versi queste cose si sono già sperimentate in passato. Le istituzioni italiane sono già state attaccate in passato quando si è provato a ridurre l’influenza degli USA o, in misura minore, della Gran Bretagna (si veda a tal proposito Il golpe inglese di Fasanella e Cereghino, che utilizza documenti d’archivio britannici).

«La Russia partner formidabile per superare la crisi»: Tiberio Graziani a “Baobab”, Rai Radio 1

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Tiberio Graziani, presidente dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) e direttore di Geopolitica, è stato ospite nella puntata del 4 luglio scorso di Baobab, programma d’informazione trasmesso da “Rai radio 1″. La puntata può essere riascoltata integralmente cliccando qui.

Il direttore Graziani è intervenuto, assieme alla professoressa Adriana Destro (ordinaria di Antropologia culturale all’Università di Bologna), per discutere del tema Geopolitica: i nuovi che avanzano. Russia e Turchia. Graziani ha spiegato come le priorità della nuova presidenza di Vladimir Putin saranno la modernizzazione delle infrastrutture, l’innovazione tecnologica e la riforma dello Stato sociale, in particolare della sanità, finora piuttosto trascurato. La modernizzazione, tramite l’alta tecnologia, si collega anche all’industria militare. Ciò fa sì che in Russia sia massimo l’interesse per il trasferimento tecnologico, i nuovi materiali e i minerali strategici. Sul piano politico, ha affermato Graziani, la Russia segue due direttrici: a est lo sviluppo della Siberia e del proprio Estremo Oriente, a ovest la riaffermazione del suo ascendente sulla Bielorussia e l’Ucraina (ma in generale le relazioni con l’estero vicino sono giudicate prioritarie).

Gli effetti della modernizzazione e della nuova politica estera di Putin dovrebbero palesarsi, secondo gli studi dell’IsAG – ha spiegato Graziani – entro un paio di anni. Ciò dovrebbe indurci a una riflessione, come europei e come italiani, in quanto la Russia si presenta come un partner formidabile per superare la crisi. La Russia inoltre, a maggior ragione ora che sta nascendo l’Unione Eurasiatica, rappresenta un forte collegamento con l’Asia Centrale. In particolare il Kazakistan è un paese con forte crescita e in cerca di tecnologie. Il partenariato italo-russo potrebbe aiutare anche a penetrare il promettente mercato centrasiatico.

«È necessaria una soluzione regionale alla crisi siriana»: Tiberio Graziani all’IRNA

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Tiberio Graziani, presidente dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) e direttore di Geopolitica, è stato dall’IRNA, agenzia di stampa della Repubblica Islamica d’Iran, a proposito del ruolo che il paese persiano può giocare nella risoluzione della crisi siriana. Il lancio d’agenzia relativo all’intervista del presidente Graziani è stato pubblicato sia in farsi (clicca) sia in inglese (clicca).

Tiberio Graziani ha espresso la convinzione che non si possa prescindere da un coinvolgimento iraniano nella risoluzione della crisi siriana, perché essa andrebbe trovata a livello regionale e Tehran è uno dei maggiori attori del Vicino Oriente. La soluzione dev’essere regionale perché, qualora non si trovasse una sistemazione a lungo termine della situazione in Siria, allora la crisi destabilizzerà l’intero Vicino Oriente.

Il presidente Graziani ha lodato la proposta del ministro degli Esteri iraniano Alì Akbar Salehi, avanzata tramite la televisione araba Al-Alam, di un incontro a Damasco tra rappresentanti delle istituzioni siriane e dell’opposizione. Ha infine espresso preoccupazione per il ruolo di destabilizzazione che gli USA stanno ricoprendo nel tentativo d’assicurarsi il predominio nella regione.

La “Primavera Araba” un anno dopo

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A distanza d’oltre un anno dall’inizio della cosiddetta “Primavera Araba”, è possibile trarne un primo bilancio. Si è trattata d’una rivolta popolare o di congiure di palazzo? È stata un fenomeno genuino e spontaneo, oppure eterodiretto anche dall’esterno? Sta portando all’affermarsi del liberalismo o a un risveglio islamico nel mondo arabo? Quali potenze stanno avvantaggiandosi e quali perdendo posizioni a causa degli eventi? A questi e altri interrogativi cerca di rispondere il numero 2 del primo volume di “Geopolitica”, tenendo presente che la “Primavera Araba” è un fenomeno lungi dall’essere terminato: la lotta infuria ancora in Siria, le proteste riscaldano il clima in Arabia Saudita e Bahrayn, la situazione è interlocutoria in Egitto, Tunisia e Libia. La parola fine sulla “Primavera Araba”, che forse tale non è, dev’essere ancora scritta.

SOMMARIO | Editoriale: Le rivolte arabe: ripercussioni regionali e politica mondiale: Tiberio Graziani | Focus: La “Primavera Araba” – Un Anno Dopo | La transizione geopolitica e le rivolte in Vicino Oriente: Côme Carpentier De Gourdon | Le rivolte arabe fra mano invisibile e disgregazione sociale: l’interpretazione politica e sociale delle rivolte arabe : Ghomari Taibi | Il discorso di Obama al Cairo, sparo d’apertura della Primavera Araba: Mahdi Darius Nazemroaya | Costi (e profitti) di un anno e mezzo di “rivolte arabe”: Giovanni Andriolo | L’anno che ha sconvolto il mondo: Eric Walberg | Siria: una nuova polveriera nel “Grande Medio Oriente”: Vagif A. Gusejnov | Siria: la follia ha del metodo: Luiz Alberto Moniz Bandeira | Il Qatar: l’emergere di una piccola-grande potenza: Francesco Brunello Zanitti | La Primavera Palestinese: limiti delle opportunità politiche | e resistenza all’autoritarismo nei Territori: Amy Kishek | La Libia un anno dopo:un bilancio sconfortante: Aleksandr Kuznecov | La Cina in Nord Africa, prima e dopo la primavera araba. Il caso libico: Andrea Chiriu – Laura Tocco | La Russia e la guerra in Libia: Irina Osipova | Turchia e “Primavera Araba”: intervista a S.E. Hakki Akil | L’Iran e la “Primavera Araba”: leadership, controtendenze e possibili influenze in Medio Oriente: Pejman Abdolmohammadi – Marco Cacciatore | L’Iran e le rivolte arabe: intervista a S.E. Mohammad Alì Hosseini | Sayyid Qutb, ideologo e martire del radicalismo islamico: Eliseo Bertolasi | “Global Mufti”: Yusuf al-Qara’wiī, Rašid al-Gannušiī e l’Unione Mondiale degli ‘Ulama’ Musulmani: Pietro Longo | Kazakhstan: il rafforzamento della società e degli apparati economico-politici come antidoto alle rivolte popolari di matrice religiosa: Luca Bionda | Orizzonti: Il nuovo globalismo nordamericano: Brian M. Downing | Nagorno-Karabakh e autodeterminazione: Rouben Karapetian | Russia e Asia Centrale a vent’anni dalla fine dell’URSS: Fabrissi Vielmini

Geopolitica, vol. I, n° 2 .: La “Primavera Araba” – Un Anno Dopo
Prezzo: 22,00€

Editore: Avatar Éditions & IsAG
Data di Pubblicazione: Estate 2012
Pagine: 276

Dimensioni (cm): 15,6 x 23,4
ISBN/EAN: 9781907847127


La posizione dell’Italia sulla crisi siriana: Daniele Scalea intervistato da IRIB

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Daniele Scalea, condirettore di “Geopolitica” e segretario scientifico dell’IsAG, è stato intervistato da Radio Italia dell’IRIB (emittente iraniana in lingua italiana) a proposito della politica del nostro paese nel Mediterraneo. La fonte originale può essere raggiunta cliccando qui. Di seguito proponiamo l’audio e la trascrizione dell’intervista.

 

Qual è il suo giudizio sul comportamento del governo italiano rispetto alla crisi siriana?

Negli ultimi decenni la politica mediterranea dell’Italia è cambiata molto. Fino agli anni ’80 l’Italia mostrava una certa libertà d’azione rispetto all’alleanza di riferimento (la NATO), e in particolare cercava di perseguire una politica per certi versi “terzomondista”, d’amicizia col mondo arabo. Un esempio è Enrico Mattei, che con la sua ENI, strinse accordi con l’Egitto e l’Iran e appoggiò la lotta per l’indipendenza dell’Algeria. Dirigente di un’importante impresa di Stato, Mattei aveva appoggi politici del calibro di Amintore Fanfani. Un altro politico decisamente filo-arabo è stato Aldo Moro. In tempi più recenti, gli esempi sono Andreotti e Craxi. Quest’ultimo ebbe rapporti stretti con molti politici arabi, tra cui Gheddafi (al-Qaḏḏāfī), che salvò – come si è poi saputo – dal tentativo d’assassinio degli USA informandolo in anticipo del bombardamento ordinato da Reagan. Non è un caso che Craxi, una volta caduto in disgrazia in Italia, abbia trovato rifugio proprio in un paese arabo, la Tunisia. Andreotti ha sempre mostrato posizioni che oggi sarebbero giudicate eccentriche in Italia. Egli affermò di credere che, se fosse nato in un campo profughi palestinese, anche lui avrebbe finito col diventare un attentatore suicida. In un celebre discorso in Parlamento, Craxi disse di non condannare la lotta armata dei Palestinesi (pur giudicandola non producente). Dichiarazioni decisamente lontane da quelle che ci si potrebbe attendere oggi dai dirigenti dello Stato italiano.
Cos’è cambiato? Innanzi tutto, finita la Guerra Fredda l’Italia ha perso molto del suo valore strategico di paese di confine tra i due blocchi, che le consentiva di giocare sulla rivalità USA-URSS per trovare degli spazi d’autonomia. Di colpo si è ritrovata a non avere più molte carte da giocare. Tanto più che nel ventennio successivo l’integrazione europea ha fatto grossi avanzamenti, e su quella si è concentrata la politica italiana. Nel frattempo è inoltre cambiata un’intera classe politica. Il fenomeno di “Mani pulite” (che qualcuno ritiene un “colpo di stato giudiziario”) ha portato allo scioglimento dei partiti egemoni della cosiddetta “Prima Repubblica”. Sparì così una classe politica ancora gelosa dei suoi spazi d’autonomia e legata al patrimonio pubblico, che negli anni successivi è stato in gran parte privatizzato. Da allora la politica italiana è cambiata, con un fortissimo allineamento agli USA (e in misura minore all’UE), una politica decisamente meno filo-araba, l’avvicinamento a Israele sulla Questione Palestinese. Da allora sono stati trascurati i rapporti bilaterali con gli Stati arabi, agganciandosi alla politica di Washington e Bruxelles nella regione, dunque con un ruolo da comprimari – o addirittura da comparse. Così l’Italia è uscita dalla politica del Mediterraneo: in questo momento il nostro paese non è in grado d’incidere sugli equilibri regionali, e nemmeno ci prova.
Per quanto riguarda la crisi siriana, vari fattori possono giocare un ruolo sull’attivismo – soprattutto retorico – mostrato dalla diplomazia italiana: la simpatia del ministro Terzi per Israele (paese in cui è stato ambasciatore), la volontà di compiacere la Turchia e i tanti paesi arabi ostili a Assad. E l’Italia, mancando di strumenti concreti, punta molto sulla dimensione verbale e dell’immagine: ci si prodiga in varie dichiarazioni molto dure per cercare una ribalta, come sostitutivo dell’influenza materiale che altri paesi riescono ad avere sulla crisi siriana.

Monti e Scaroni a Mosca: articolo di D. Citati sul sito della rivista del Ministero degli Esteri russo

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Un articolo di Dario Citati, direttore del Programma “Russia e spazio post-sovietico” dell’IsAG, è stato pubblicato sul sito di “Meždunarodnaja Žizn”, rivista ufficiale del Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa. Si tratta della versione russa di Monti e Scaroni in Russia: guardare verso Mosca per fronteggiare la crisi, originariamente pubblicato il 27 luglio sul sito della rivista dell’IsAG “Geopolitica”. In data 20 agosto la versione russa è apparsa sul sito di “Meždunarodnaja Žizn” col titolo Необходимость политического укрепления российско-итальянских отношений: può essere vista cliccando qui.

 
Необходимость политического укрепления российско-итальянских отношений

La portata della crisi siriana. Tiberio Graziani intervistato dall’IRNA

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Tiberio Graziani, presidente dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) e direttore di “Geopolitica”, è stato recentemente intervistato dall’IRNA, l’agenzia di stampa ufficiale dell’Iran, a proposito dell’intervento del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad al congresso dell’Organizzazione dei Paesi Islamici tenutosi alla Mecca il 14 e 15 agosto scorsi. L’intervento del presidente Graziani è stato, al pari del convegno OIC, dominato dal tema della crisi siriana.

Graziani ha notato come la crisi siriana manifesti una delle debolezze strutturali del Vicino e Medio Oriente, ossia la mancanza di unità strategica. La Turchia e gran parte dei paesi arabi da un lato, l’Iran dall’altro, si affrontano sul campo di battaglia siriano. La mancanza d’unità strategica rende la regione particolarmente vulnerabile alle influenze provenienti dall’esterno. In questa fase gli USA in particolare cercano di riaffermare, nel mezzo della cosiddetta “Primavera Araba”, la propria egemonia sulla regione non esitando a destabilizzare la Siria dopo la Libia, e potenzialmente – tramite l’allargarsi della frattura tra sciiti e sunniti – l’intero mondo musulmano. L’azione si trova del resto in continuità coi precedenti interventi in Afghanistan e Iraq, cui si possono aggiungere quelli d’Israele in Libano e nella Striscia di Gaza. L’obiettivo immediato è neutralizzare la Siria per isolare l’Iran, ma in seguito anche la Turchia – ora alleata nella crisi siriana – dovrà essere contenuta, perché il risultato finale che Washington vuole ottenere è un equilibrio a sé favorevole nel Vicino e Medio Oriente.

L’articolo originale (in lingua farsi) può essere letto cliccando qui.

Geopolitica e futuro: Tiberio Graziani intervistato da “IMQ Magazine”

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Tiberio Graziani, presidente dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) e direttore di “Geopolitica”, è stato intervistato da “IMQ Magazine”, il semestrale del più importante ente di certificazione italiano, leader in Europa nell’attività di valutazione nei settori elettrico, elettronico e gas. “IMQ Magazine” è pubblicato ormai da trent’anni ed è distribuito a 30.000 destinatari tra consumatori, aziende e giornalisti. Il numero 96 della rivista, incentrato sul tema del futuro, si apre con diverse pagine dedicate alla geopolitica e alle prospettive della politica internazionale. Di geopolitica parlano proprio Riccardo Redaelli, docente all’Università Cattolica di Milano, e Tiberio Graziani. Il numero può essere letto gratuitamente e integralmente, in formato digitale, cliccando qui. Di seguito riproduciamo l’intervista al presidente Graziani, che si trova alle pagine 15 e 16.

 
Come si evolverà lo studio della geopolitica?

Lo studio della geopolitica è in grande evoluzione, possiamo addirittura parlare di un “rinascimento” della geopolitica. In Italia, l’IsAG è stato un precursore perché ha capito presto che la geopolitica va pensata come materia multidisciplinare che si avvale dell’apporto di quelle che nel nostro Istituto definiamo scienze ausiliare: ne sono esempi la demografia, la statistica, l’analisi di asset strategici come della conoscenza scientifica e tecnologia, le alte tecnologie o, ancora, le scienze legate alla politica interna, alla sociologia, alla coesione sociale, all’etnografia. Uno degli studi che interesserà sempre di più i geopolitici sarà quello rivolto al dialogo delle civiltà: questo perché la disciplina si sta sempre più concentrando nello studio relativo all’aggregazione di grandi spazi nei quali convivono diverse popolazioni con diverse culture e religioni e dove, quindi, è facile che nascano scontri e tensioni. La geopolitica del futuro andrà quasi a contrastare quelle tendenze di fine secolo e di matrice anglosassone che invece si basavano sullo scontro tra le civiltà. Posso dire che, da parte nostra, ci sarà molto da fare e da studiare per individuare quegli elementi che possono contenere e ridurre le tensioni tra le diverse popolazioni che convivono nella stessa unità geopolitica, e dunque aiutare i decisori politici a realizzare unità geopolitiche stabili.

Il primo numero del 2012 della rivista “Geopolitica” è dedicato ai “Vent’anni di Russia”; com’è cambiato il ruolo della Russia in questo ventennio e quale sarà il suo ruolo negli assetti geopolitici futuri?

Abbiamo voluto dedicare questo numero alla Russia perché il suo ruolo, specialmente negli ultimi decenni, dopo il collasso dell’Unione Sovietica, è diventato importante per l’intero pianeta. Mosca, a partire dalla prima presidenza di Putin e quindi da circa dodici anni, determina l’agenda internazionale. Dal punto di vista geopolitico, due decenni sono un periodo piuttosto esiguo, tuttavia l’affermazione della Russia come attore globale merita un’adeguata riflessione, utile per la valutazione degli orientamenti della futura politica estera di Mosca e soprattutto per la sua prassi geopolitica nei confronti di alcune aree del pianeta. La Federazione Russa, nata dalle ceneri dell’Unione Sovietica, dopo un primo periodo di instabilità, è riuscita in poco tempo a riconfermare il suo ruolo di gigante internazionale. Nel delicato e fugace sistema unipolare, contraddistinto dall’espansione statunitense verso la massa euroasiatica, peraltro attuata con la prassi delle guerre cosiddette “umanitarie” in Afganistan, Iraq e Libia, Mosca ha recuperato pienamente il prestigio sia sulle nazioni ex sovietiche, sia presso gli attori globali emergenti come Cina, India, Brasile, Sudafrica. Questo prestigio ritrovato presso i paesi emergenti ha consentito un sostanziale riequilibrio, appena offuscato dalla crisi del 2008 in Georgia, e ha portato a un nuovo assetto, che possiamo definire trans-regionale e pro-euroasiatico, nel quale la Federazione Russa, lungi dall’assumere la posizione egemone che aveva nell’Unione Sovietica, ha privilegiato gli aspetti cooperativi volti allo sviluppo socioeconomico e alla sicurezza collettiva dell’intera area. Questa prassi cooperativa adottata da Mosca ha caratterizzato anche le relazioni intessute in un secondo momento con i paesi emergenti: oggi, con questi paesi, la Russia costituisce il formidabile raggruppamento geo-economico dei BRICS, destinato a incidere sempre più profondamente nei futuri scenari globali. La riaffermazione di Mosca sul piano internazionale mondiale è stata possibile grazie a due fattori: la consapevolezza della classe dirigente russa, capitanata da Putin, circa il ruolo della relazione che passa tra la coesione interna e gli aspetti strategici del paese e, in secondo luogo, lo stabilirsi di nuovi e adeguati rapporti con l’estero vicino (un esempio recente è ben rappresentato dalla costituzione dell’Unione Euroasiatica-Doganale tra Bielorussia, Kazakistan e Russia). Il ritorno della Russia quale attore globale nelle dinamiche internazionali, per altro forte di importanti partenariati che raggruppano le principali nazioni asiatiche come l’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza Collettiva, l’organizzazione euroasiatica economica (EurAsEC) e i BRICS, costituisce uno degli elementi essenziali che contrassegneranno il sistema multipolare futuro. Occorre anche dire che Mosca dovrà superare delle sfide: sul fronte interno, saranno sfide relative alla pace sociale, alla modernizzazione della struttura pubblica e dei processi industriali, all’adeguamento dell’apparato di difesa; sul fronte internazionale, le sfide concerneranno il mantenimento dello status di nazione-continente e la sua funzione nell’accelerazione del processo multipolare (che è già a uno stadio avanzato).

Quali saranno i temi caldi e i principali attori geografici, economici e politici sui quali si concentrerà la disciplina?

I temi caldi saranno tantissimi e saranno relativi sicuramente alle risorse energetiche, al primato tecnologico, al consolidamento del sistema multipolare e alla modernizzazione degli assetti post-industriali. Per quanto riguarda gli attori geografici, possiamo dire che le aree che saranno a lungo oggetto di attenzione della geopolitica sono il Mediterraneo (includendo anche il Vicino e Medio Oriente), l’Africa e l’Asia Centrale. L’Asia Centrale e il Mediterraneo rappresentano due focus molto importanti per l’IsAG e in generale per tutti gli studiosi di geopolitica. In particolare, il Kazakistan: soprattutto negli ultimi cinque anni, infatti, questo paese ha registrato un forte sviluppo economico che ora sta dando dei frutti in termini di modernizzazione e adeguamento delle infrastrutture. Il presidente Nazarbaev ha compiuto un lavoro che per quanto riguarda il Kazakistan, e di conseguenza l’Asia Centrale, è davvero epocale. Sarà quindi molto interessante per noi italiani e per tutti gli europei porre l’attenzione su quest’area. Un altro paese sul quale sarà interessante indagare è la Bielorussia: grazie probabilmente all’unione con la Russia e il Kazakistan, sarà un paese che avrà bisogno di investimenti e di know how che può venire benissimo dall’Italia e dall’Europa.

Immaginiamo che la geopolitica venga inserita come materia obbligatori in tutti i licei. Che vantaggi comporterebbe questo per la società?

Questa è una domanda interessante e, a mio avviso, una richiesta che bisognerebbe davvero rivolgere a chi di competenza. Si tratta di un tema al quale tengo molto e che affrontai tempo fa durante una conversazione con il Professor François Thual, decano degli studi di geopolitica in Francia. Ritengo che lo studio della geopolitica, parallelamente a quello dell’educazione civica, sia fondamentale per la preparazione al futuro delle nuove generazioni, soprattutto in questo momento di crisi globale. La geopolitica, infatti, aiuterebbe le nuove generazioni a superare le incrostazioni ideologiche nelle quali ancora soggiacciono; il vantaggio per la società si rifletterebbe, oltre che in una più adeguata preparazione delle future classi dirigenziali, anche nell’identificazione realistica delle necessità politiche, culturali ed economiche del nostro paese.

Di quali strumenti si avvale l’IsAG per diffondere lo studio della geopolitica?

Ci avvaliamo soprattutto della rivista trimestrale Geopolitica e della sua estensione online (www.geopolitica-rivista.org) che viene aggiornata quotidianamente. Poi, produciamo rapporti e analisi geopolitiche per area geografica e per area tematica (ad esempio le risorse, l’energia o l’acqua, i conflitti, i cambiamenti climatici, le tensioni delle aree geografiche “calde”, la sicurezza). Pubblichiamo libri, alcuni di taglio più specialistico e altri più divulgativi, e guide di affari sulle varie aree geografiche che possono interessare il sistema commerciale ed economico delle imprese italiane. Ancora, partecipiamo a corsi di Geopolitica in collaborazione con le università italiane e straniere, organizziamo stage e corsi di formazione con centri specializzati omologhi dell’IsAG e una ricca attività seminariale che facciamo sia su richiesta e sia nell’ambito della promozione della rivista. Inoltre, organizziamo conferenze con partner del sistema economico e industriale italiano ed estero; di recente, ad esempio, abbiamo dedicato un evento ai paesi BRICS insieme allo studio internazionale NCTM, con la partecipazione di funzionari delle cinque ambasciate, di Confindustria, del CeMiSS (il Centro Militare di Studi Strategici). Ne avremo a breve un altro dedicato al Brasile e ne abbiamo già programmati diversi durante l’anno, per una media di circa un evento ogni mese / mese e mezzo. I nostri ricercatori, inoltre, partecipano in maniera continuativa a Forum e conferenze nazionali e internazionali organizzate da università e centri di studio: in particolare, prendiamo parte ai Forum Italo-Russi organizzati da La Sapienza e a quelli annuali del Word Public Forum – Dialogo di Civiltà a Rodi. E poi, ovviamente, ci sono le interviste!

Quali sono i concetti e le parole chiave che caratterizzeranno il futuro della geopolitica?

Per rispondere a questa domanda bisogna fare riferimento all’analisi del processo di transizione dalla fase unipolare a quella multipolare. Tale processo ci induce a ritenere che i concetti guida e le parole chiave del futuro della geopolitica potranno essere: il consolidamento del multipolarismo, la tensione tra la tendenza alla frammentazione degli spazi geopolitici e la tendenza all’integrazione di vaste aree geopolitiche, la migrazione, il continentalismo, la parcellizzazione di unità geopolitiche, le aggregazioni sub-regionali, le organizzazioni di sicurezza collettiva, i Paesi BRCIS, l’integrazione euroasiatica, l’integrazione indio-latina, le risorse energetiche, l’alta tecnologia, le terre rare e l’acqua, ovviamente!

VeDrò 2012: l’IsaG presente con Simona Bottoni nel WG sul Brasile

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“We can be heroes”, possiamo essere eroi, è stato lo slogan dell’8a edizione del VeDrò, l’evento annuale organizzato dall’omonimo think-net trasversale fondato, tra gli altri, da Enrico Letta, Giulia Bongiorno, Angelino Alfano, Enrico Bertolino, Gianluca Rana e Luisa Todini, in programma quest’anno presso la Centrale Fies di Dro (Trento) dal 26 al 29 agosto. A rappresentare l’IsAG Simona Bottoni, direttrice del Programma “America Latina”.

Il tema del meeting è un messaggio di fiducia agli italiani, intesi come “persone che hanno le carte in regola per giocare la partita e vincerla perché hanno talento, cultura, vivacità di pensiero, spirito imprenditoriale e passione”, sostiene il Presidente di VeDrò Benedetta Rizzo. All’appuntamento hanno partecipato, in un’atmosfera informale e vivace, dividendosi tra 21 gruppi di lavoro e 30 sedute plenarie, circa 800 tra imprenditori, manager, professionisti e rappresentanti del mondo dell’associazionismo, scienziati e artisti, studiosi, docenti e studenti, sportivi, operatori della comunicazione e dell’informazione, politici ed esponenti delle istituzioni, con un unico filo conduttore: anche e soprattutto nei momenti di crisi, come quello che l’Italia e l’Europa stanno vivendo oggi, gli italiani debbono affidarsi ai loro “superpoteri” ed alla capacità di utilizzarli al meglio per realizzare se stessi ed i propri progetti, come individui e come comunità.

Tra i discussant più attesi: i Ministri dell’Agricoltura Mario Catania, della Funzione Pubblica Filippo Patroni Griffi, e dell’Istruzione, Università e Ricerca, Francesco Profumo; il Presidente di Marvel Entertainment International, Simon Philips; l’AD di Enel, Fulvio Conti; il Presidente esecutivo di Telecom Italia, Franco Bernabè; il Presidente di Emergency, Cecilia Strada; il delegato della Croce Rossa Internazionale in Afghanistan, candidato al Premio Nobel per la Pace 2010, Alberto Cairo; il Direttore Generale di Unicef Italia Davide Usai; il Vicepresidente di Legambiente Edoardo Zanchini; i magistrati Raffaele Cantone e Stefano Dambruoso; i responsabili di Moody’s Italia e Fitch Italia Alex Cataldo e Alessandro Settepani, e il Direttore Generale di Standard & Poors per il Sud Europa, Maria Pierdicchi.

Simona Bottoni dell’IsAG è stata tra i discussant del Working Group dedicato al Brasile, coordinato da Francesca Chialà, sociologa e Senior Consultant Achieve Global. Oltre all’intervento di Simona Bottoni, che ha proposto una relazione sul nuovo modello di sviluppo rappresentato dal Brasile contemporaneo, sono stati molto apprezzati quello del Prof. Agostinho Turbian, Ceo di Geese e Presidente della FENADVB (Federação Nacional das Associações de Dirigentes de Vendas e Marketing do Brasil), del Dott. Luca Trifone, Capo Dipartimento per l’America del Sud del Ministero degli Affari Esteri, dell’Avv. Diego D’Ermoggine, Segretario Generale dell’Associazione di Amicizia Italia-Brasile, e del Dott. Maurizio Carmignani, consulente direzionale e docente di economia della cultura e del turismo.

Di seguito il testo della relazione di Simona Bottoni.

Il WG sul Brasile, con Simona Bottoni al centro

 
Con questa relazione mi propongo di rispondere a due delle interessanti domande che la coordinatrice di questo WG ha posto alla base della discussione, e cioè: “Che modello di capitalismo rappresenta il Brasile contemporaneo?” e “Qual è il segreto della crescita costante del Brasile negli ultimi 10 anni?”.

Per dare una risposta alla prima domanda è senz’altro opportuno ricordare che il Brasile è il 5° paese più esteso al mondo; occupa i 2/3 del territorio dell’America Latina; conta una popolazione di circa 200 milioni di abitanti; è ricco di risorse naturali, agricole e minerarie; è uno dei principali produttori ed esportatori al mondo di caffè, arance, soia, zucchero, etanolo, carne (manzo e pollo), cacao, tabacco; dal 2012 è la 6a economia al mondo, subito dopo la Francia; negli ultimi 10 anni circa 40 milioni di brasiliani sono approdati alla classe media o, comunque, sono usciti dalla povertà. Il modello di sviluppo che il Brasile dell’ex Presidente Ignacio Lula da Silva ed oggi di Dilma Rousseff rappresenta è definito “di sviluppo con inclusione”, perché si propone una crescita economica stabile, accompagnata da politiche di redistribuzione della ricchezza a vantaggio delle classi sociali più deboli.

Questo modello di sviluppo, e qui veniamo alla seconda domanda, si basa su 3 pilastri della politica economica:

  1. 1) una politica fiscale responsabile;
  2. 2) una politica monetaria indipendente, basata sull’inflation targeting (un regime di politica monetaria che ha l’obiettivo di raggiungere la stabilità dei prezzi – che aiuta moltissimo la crescita economica. In buona sostanza, il Governo dà alla Banca Centrale un obiettivo di stabilità dei prezzi da raggiungere nel medio periodo, lo determina e lo fissa per legge. La Banca Centrale è resa indipendente ma è anche responsabile del raggiungimento o meno dell’obiettivo fissato);
  3. 3) un regime flessibile del tasso di cambio (dal 1999, infatti, il tasso di cambio del real – la moneta nazionale brasiliana – non è più ancorato al dollaro USA, ma è passato ad un regime di libera fluttuazione).

 
Questa politica economica ha portato a un periodo di crescita sostenuta, con stabilità dei prezzi e del tasso di cambio che ha generato numeri positivi come quelli che riporto in sintesi qui di seguito:

      aumento di 1 milione e 700mila nuovi posti di lavoro soltanto nel periodo gennaio 2009 – maggio 2010; nel biennio 2006-2008 erano stati creati 4,3 milioni di nuovi posti di lavoro (6 milioni di nuovi posti di lavoro tra il 2006 ed il I semestre 2010);
    1. aumento (reale) del salario minimo del +54,25% nel periodo 2004-2011;
    2. classe media che rappresenta quasi il 50% della popolazione (aumento dei consumi interni +2,3 % nel 2011, da +3,4% nel 2010);
    3. popolazione sotto la soglia di povertà dal 46% sotto la Presidenza Cardoso al 25% sotto quella Lula;
    4. tasso di disoccupazione attestato al 6,8 % nel 2011;
    5. settore agricolo + 5,1% nel 1° trimestre 2010 (dopo un -5,2% nel 2009);
    6. commercio e servizi rispettivamente +15,2% e +12,4% nello stesso periodo;
    7. PIL al +7,5% nel 2010, era al 3,2% nel 2003; previsto al +2,5% nel 2012, rallentamento dovuto a: siccità che ha frenato le produzioni agricole, investimenti pubblici bloccati da un sistema ancora un po’ farraginoso, ritardi di PETROBRAS – la società energetica nazionale – che non ha attuato gli investimenti previsti;
    8. rapporto PIL/debito nel 2011 è stato pari al 40% – molto più basso di quello di altri giganti economici a livello globale (180% in Giappone, 140% in USA) – era al 60% nel 2002;
    9. tasso d’inflazione stabile dal 2002 ad oggi: ha avuto un minimo nel 2006 (3.1%) e nel 2011 è stato pari al 4,5%, con variazioni che oscillano in una forchetta del 2%;
    10. dal 2007 il Brasile ha un debito estero netto negativo, cioè, al momento, è uno dei paesi finanziatori del FMI;
    11. la capacità di attrazione degli investimenti esteri del Brasile è la più elevata dell’area: nel 2011 è stato il paese, al mondo, destinatario del maggior numero di investimenti diretti in entrata (+38%, contro l’incremento medio nell’intera area BRICS pari al +26%);
    12. l’Italia è il 2° fornitore manifatturiero del Brasile in Europa, dopo la Germania; e ciò perché il Brasile è un paese solido che ingenera fiducia negli investitori;
    13. l’Italia è all’ 8° posto nella classifica dei partner commerciali del Brasile, con un flusso commerciale tendenzialmente in crescita che, nel periodo 2007-2011, ha raggiunto gli 11,7 miliardi di USD di scambi (Cina, USA ed Argentina sono i primi 3 partner commerciali del Brasile);
    14. i settori d’investimento di maggior interesse sono quelli della meccanica, delle tecnologie, del tessile, dei macchinari, delle energie rinnovabili, delle infrastrutture e dei trasporti, della nautica da diporto.

     
    I numeri dimostrano, quindi, come il Brasile sia, con buon diritto, il candidato principale e più accreditato ad assumere la leadership regionale.

    I cambiamenti strutturali ottenuti durante la Presidenza Lula sono stati in particolare quattro:

    1. 1) una crescita economica stabile;
    2. 2) l’espansione del mercato interno;
    3. 3) la ridefinizione delle priorità della spesa pubblica (con maggiori investimenti nelle politiche sociali e più risparmio pubblico);
    4. 4) un riposizionamento internazionale del Brasile con una sua migliore collocazione sullo scacchiere internazionale (ciò attraverso il rafforzamento dell’OSA e dei poteri del Segretario Generale e con rapporti più distesi con Washington, da un lato; e dall’altro con la promozione dell’integrazione regionale attraverso MERCOSUR ed UNASUR).

     
    La crescita economica si è sempre accompagnata a politiche di redistribuzione e di inclusione sociale, realizzate attraverso l’approvazione del PAC I e II (= Piani di Accelerazione della Crescita), rispettivamente nel 2007 e nel 2010: questi programmi prevedono ingenti investimenti pubblici, combinati ad incentivi e facilitazioni per gli investimenti privati, nei settori dei trasporti, dell’energia, della sanità, della casa, dell’acqua e della luce per tutti. Dal 2007 al 2010 sono stati stanziati circa 500 miliardi di Reais; dal 2010 al 2014 ne saranno stanziati oltre 950 miliardi, cui si aggiungeranno circa 630 miliardi di Reais dopo il 2014. I risultati eccellenti conseguiti dai 2 mandati del Presidente Lula, che la Rousseff sta cercando di confermare, sono stati possibili anche grazie alle basi gettate in precedenza dal Presidente Fernando Henrique Cardoso, che iniziò negli anni ’90 una politica di liberalizzazione commerciale, con la rimozione delle barriere non tariffarie e la riduzione dei dazi doganali sulle importazioni, che resero il Brasile più competitivo; oltre che con una politica fiscale opportuna, seria e responsabile.

    I principali settori economici del Brasile sono:

    1. il settore agricolo: sebbene costituisca soltanto il 6% del PIL, è ancora un settore nodale perché impiega oltre il 20% dei lavoratori brasiliani;
    2. il settore minerario: enormi sono i giacimenti di ferro, rame ed oro; il Brasile è la 6a riserva di uranio al mondo; sono stati scoperti grandi giacimenti di petrolio offshore nel PréSal; grandi sono le riserve di gas;
    3. il settore dell’industria: costituisce il 25% del PIL del paese, in particolare quella manifatturiera che è la più grande dell’America Latina, ma anche macchine utensili, automobili e comparto aereo;
    4. il settore dei servizi: rappresenta il 68% del PIL del paese, è ben sviluppato e diversificato, si va dai servizi alla persona (meno qualificati ed a basso valore aggiunto) ai servizi finanziari (ad elevato contenuto professionale).

     

    Progetto “Brasil Proximo”

    Il manifatturiero è un punto di contatto molto importante tra realtà imprenditoriale brasiliana ed italiana: in Brasile ci sono circa 5,5 milioni di PMI, in Italia 4 milioni e la nostra expertise è molto apprezzata. Una prova recente di questo apprezzamento è il PROGETTO “BRASIL PROXIMO”: un Accordo di collaborazione siglato a Perugia tra la Presidenza della Repubblica brasiliana e 5 Regioni italiane (Marche, Umbria, Toscana, Liguria ed Emilia Romagna) alla fine di luglio 2012. Si tratta del più grande Progetto di cooperazione in atto tra Italia e Brasile. Obiettivo del Progetto è di rafforzare le politiche brasiliane a sostegno dei piccoli produttori con interventi di sviluppo locale per la crescita delle PMI e del cooperativismo, sulla base delle esperienze delle 5 Regioni italiane coinvolte nel Progetto. Al momento il Progetto riguarda la regione del “Centro Paulista” nello Stato di San Paolo.

    Settori d’investimento: vademecum

    Il Brasile offre interessanti opportunità d’investimento all’Italia, che ha solidi legami storici e culturali, rafforzati dal radicamento della consistente comunità di origine italiana e dalla presenza di nostre importanti imprese. L’Italia, come s’è detto, ha un proprio peculiare modello di sviluppo, basato sulla PMI, con un’avanzata esperienza di distretti industriali, che si adattano rapidamente alle variazioni del contesto internazionale; modello di sviluppo che si è dimostrato ben riproducibile nel tessuto economico e sociale dell’America Latina. Non mancano, comunque, importanti opportunità per le grandi imprese, dal settore energetico a quello infrastrutturale, data la vastità geografica del Brasile, le buone condizioni economiche e l’apertura al commercio internazionale.

    Complessivamente, nel 2008, operavano in America Latina 1.968 imprese italiane, con 155.347 dipendenti: queste imprese sono localizzate prevalentemente in Brasile (710); poi in Argentina (354), Messico (289), Cile (136) e Venezuela (108).
    Le esportazioni italiane in Brasile si concentrano soprattutto nei settori come:

    1. la meccanica ed i prodotti della tecnologia (accessori per trattori e autoveicoli, lubrificanti, macchine per imballaggi, elicotteri, barche, macchine tessili, per la lavorazione dei metalli, della ceramica, del legno, della pietra);
    2. le attrezzature legate alla filiera agroindustriale, dell’alimentare e dell’imballaggio;

     
    Margini di penetrazione commerciale, non pienamente sfruttati, ci sono anche:

    1. nel comparto della tecnologia medica e ospedaliera;
    2. nel campo delle energie rinnovabili e delle infrastrutture;
    3. nel settore dei prodotti del lusso del Made in Italy (moda, calzature, casa-arredo) ancora limitatamente presenti nel mercato e soprattutto indirizzati alla fascia di popolazione medio-alta, in rapida espansione. Per tali beni di consumo di alto livello, a parte le grandi griffe affermate internazionalmente, le nostre aziende soffrono le alte tariffe ed il carattere ancora un po’ protezionistico del mercato brasiliano, nonostante presentino un prodotto di qualità ineccepibile. Questo approccio vale non solo nel campo della moda e del design, ma anche in quello del prodotto agro-alimentare e delle bevande alcoliche, in cui negli ultimi tempi l’Italia sta tentando di competere con la Francia sul mercato del vino di massimo livello (e massimo prezzo) sulla base di un’acquisita immagine di prodotto di alta qualità. Sempre più numerose Regioni italiane (le ultime in serie Umbria, Abruzzo e Molise) stanno manifestando interesse a realizzare iniziative a favore del settore agroalimentare (in particolare vino);
    4. il settore della logistica portuale e terrestre, in cui gli imprenditori italiani sono i migliori al mondo e ciò consente loro di trovare nel Brasile un ottimo mercato per gli investimenti atteso che il Brasile è il più grande esportatore al mondo di ferro e di grano, ed il sistema portuale è strategico per questi traffici commerciali.

     
    Le importazioni italiane dal Brasile sono per lo più materie prime (soprattutto caffé), semilavorati, pellame, carne e minerali di ferro; si registra anche la fornitura di aeromobili.

    Per penetrare con successo nel mercato brasiliano occorre rafforzare la presenza in loco attraverso partenariati con le imprese brasiliane. I limiti strutturali del sistema produttivo italiano, dovuti alla dimensione aziendale di molte imprese, se presenta vantaggi nella qualità produttiva e nel modello sociale, facilmente adattabile proprio al contesto latinoamericano, per altri versi costituisce un ostacolo per affrontare consistenti investimenti esteri. A supporto degli investitori, interni e stranieri, opera la RENAI (Rete Nazionale di Informazioni sugli investimenti) fornendo una copiosa e ben organizzata messe di misure, federali e regionali, a sostegno dell’attività economica, sia a livello territoriale che settoriale. È un organismo del Ministero per lo Sviluppo, l’Industria ed il Commercio Estero del Brasile. Tutte le informazioni sono presenti sul sito: http//: investimentos.desenvolvimento.gov.br. Inoltre, attraverso il SIPRI-Sistema di Promozione di Investimenti e di Trasferimento di Tecnologia per Aziende, il Ministero delle Relazioni Estere punta a favorire l’attrazione degli investimenti stranieri diretti in Brasile e promuove l’internazionalizzazione delle imprese brasiliane e straniere favorendo il trasferimento di alta tecnologia nel Paese. L’accesso alla rete SIPRI può essere effettuato attraverso il BrasilTradeNet, portale di promozione commerciale e di investimenti. Tutte le informazioni sono presenti sul sito: www.brazilglobalnet.gov.br.

    Altro importante strumento di sostegno per le nostre PMI è la SIMEST: una società per azioni con il 76% del capitale detenuto dal Ministero dello Sviluppo Economico, che assiste finanziariamente la partecipazione azionaria di società italiane in società miste e le loro azioni di penetrazione commerciale, internazionalizzazione e radicamento. I settori in cui sono attive le aziende italiane in Brasile, affiancate da SIMEST, sono quelli in cui l’Italia è riconosciuta tra i leader a livello mondiale: il meccanico e l’elettromeccanico (parti ed accessori per autoveicoli, macchine per la lavorazione di materie plastiche e gomma, macchine utensili per la metallurgia, nonché macchine automatiche per la dosatura, la confezione e l’imballaggio), il chimico-farmaceutico, il legno-arredamento, l’agro-alimentare, il tessile abbigliamento. Non può essere dimenticato un diffuso sistema camerale (Camere di Commercio) presente in tutte le principali città brasiliane.

    Opportunità paese

    E’ possibile scaricare la versione e-book (aggiornata a maggio 2012) della guida al mercato brasiliano (Modello di sviluppo industriale del Sistema Italia in Brasile) realizzata dall’Ambasciata d’Italia a Brasilia, Confindustria e KPMG, in collaborazione con circa trenta esponenti del cosiddetto “Sistema Italia” operante in Brasile: Camere di Commercio, Confindustria, ex Ufficio ICE di San Paolo, Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, Ufficio dell’Addetto finanziario della Banca d’Italia, rete consolare di carriera e onoraria, sistema bancario, ecc. L’aggiornamento dell’e-book attualizza il quadro macroeconomico di riferimento, con particolare riferimento ai dati dell’interscambio economico bilaterale che tra il 2010 e il 2011 è passato da circa 9 miliardi di USD a quasi 11,7 miliardi di USD, facendo registrare anche un aumento di circa il 30% delle esportazioni italiane.

    Aspetto importante da evidenziare è il nodo delle infrastrutture: il Brasile confina con tutti i paesi dell’America Latina, tranne che col Cile e con l’Ecuador. E’ di assoluta importanza, quindi, per il paese verdeoro uno sviluppo adeguato delle infrastrutture, che consenta una maggiore integrazione regionale e sostenga i processi di crescita economica in atto. Il Brasile ha ancora molte carenze nel sistema stradale, in quello portuale ed aeroportuale.
    Nonostante le grandi dimensioni, le strade brasiliane sono ancora oggi la via di trasporto più importante: oltre il 60% delle merci è trasportato su gomma. La rete stradale è di 1 milione ed 800.000 km, di cui solo il 12.5% è asfaltato. Le ferrovie sono poco sviluppate: la rete è di 30.000 Km e su di essa passa il 25% delle merci trasportate. Non esistono treni passeggeri tranne quelli delle periferie delle grandi città. Il Governo ha recentemente varato un Progetto per la realizzazione di un collegamento ferroviario ad alta velocità tra San Paolo e Rio de Janeiro da completare entro il 2014. Gli investimenti previsti per i prossimi anni, però, sono massicci: 100 miliardi di reais per ferrovie merci e passeggeri, destinati a:

    1. l’asse Nord-Sud, per oltre 2.000 Km, che collega le campagne del Maranhao a quelle di San Paolo;
    2. l’asse Est-Ovest che colleghi Tocantins al porto di Ilheus nello Stato di Bahìa;
    3. l’integrazione della rete del Centro-Ovest;
    4. la Transnordestina.

     
    Sono opere per oltre 5.000 Km che, tra l’altro, dovrebbero avvicinare le merci brasiliane ai porti d’imbarco per i mercati internazionali. L’obiettivo è passare dall’attuale 25% al 40% di merci trasportate su rotaia. I porti ed i corsi d’acqua rappresentano soltanto il 13% del trasporto, sebbene il Brasile abbia una rete di fiumi navigabili di 48.000 Km. Gli aeroporti non sono attrezzati a sostenere il crescente numero di utenti interni ed esterni al paese.

    Il sistema infrastrutturale

    Tema centrale per il Brasile, e per l’America Latina tutta, è, quindi, lo sviluppo dei sistemi infrastrutturali, quale importante elemento d’integrazione regionale e componente importante dei processi di crescita economica in atto. L’integrazione regionale è, per il cono sud, un obiettivo oggi irrinunciabile per affrontare le nuove sfide globali, ed è impensabile che essa possa realizzarsi senza uno sviluppo adeguato delle infrastrutture che rendano il territorio omogeneo e ben collegato. Le barriere naturali che frazionano il territorio dell’area in zone isolate una dall’altra, rendono essenziale l’interconnettività attraverso lo sviluppo delle infrastrutture, che assumono un ruolo strategico per le economie e per l’integrazione regionale. Rendere interconnesse le zone isolate può consentire all’America Latina e, in primis, al Brasile, d’inserirsi nell’economia globale e di diventare un attore economico ancora più competitivo.

    L’esigenza d’investire sull’interconnettività infrastrutturale per aumentare il potenziale economico di una regione, secondo una visone geoeconomica dello spazio, ha dato luogo ad una grande ed importante iniziativa d’integrazione fisica in America Latina: il Progetto “IIRSA” (Iniziativa per l’integrazione delle infrastrutture regionali sudamericane). L’IIRSA nasce durante il primo vertice dei presidenti sudamericani a Brasilia nell’Agosto del 2000 (Presidente del Brasile Fernando Henrique Cardoso). Ne fanno parte: Brasile, Argentina, Bolivia, Cile, Colombia, Ecuador, Guyana, Paraguay, Perù, Suriname, Uruguay e Venezuela. L’accordo prevede azioni congiunte per lo sviluppo delle infrastrutture regionali in termini di modernizzazione, e per la promozione dell’integrazione e dello sviluppo economico e sociale della regione. L’IIRSA è stata tradotta in un “piano di azione”, elaborato a Montevideo nel dicembre del 2000, formulato secondo una visione strategica comune dell’Integrazione fisica sudamericana: vale a dire che tutti i progetti pensati all’interno di questa iniziativa debbono promuovere allo stesso tempo lo sviluppo economico e l’equità sociale.

    Il Piano di Azione dell’IIRSA agisce su due aree principali: gli Assi di integrazione e sviluppo (Ejes de integracion y desarrollo – Eid) ed i Processi settoriali di integrazione (Psi). Gli Assi di integrazione e sviluppo sono aree geografiche multinazionali all’interno delle quali vengono individuate attività produttive, potenziali o già esistenti, nelle quali si cerca di migliorare l’offerta di servizi d’infrastrutture fisiche (trasporti, energia, telecomunicazioni) per sostenere ed incentivare lo sviluppo regionale.
    Gli Assi d’integrazione e sviluppo identificati finora sono 10 e tra di essi quelli che assumono importanza per il Brasile ci sono:

    1. l’Asse dell’Amazzonia, che riguarda Brasile, Perù, Ecuador, Colombia;
    2. l’Asse Perù-Brasile-Bolivia, che costituisce lo sbocco sul Pacifico delle zone interne del Brasile e delle zone orientali di Bolivia e Perù;
    3. l’Asse dello scudo della Guyana, che comprende i territori di Guyana e Suriname, la regione orientale del Venezuela e la zona Nord del Brasile;
    4. l’Asse dell’Idrovia Paraguay-Paranà, che prevede studi e ricerche per il miglioramento della navigabilità e la gestione dell’idrovia in Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay, Uruguay.

     
    I Processi settoriali di integrazione, invece, si propongono di rinnovare e di armonizzare i sistemi normativi di ciascun paese per quel che riguarda le regole di utilizzo delle infrastrutture, identificando eventuali ostacoli normativi, operativi ed istituzionali che impediscano lo sviluppo delle infrastrutture di base nella regione.
    I Passi identificati sono:

    1. lo snellimento dei valichi di frontiera;
    2. l’integrazione energetica;
    3. i sistemi operativi di trasporto aereo, marittimo e multimodale;
    4. gli strumenti per il finanziamento di Progetti di integrazione fisica regionale;
    5. le tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni.
    6.  
      Il finanziamento proviene sia dal Tesoro Pubblico di ogni Stato (circa il 62%), sia dal settore privato, che dalle istituzioni del Comitato di Coordinazione Tecnica dell’IIRSA, composto dalla Corporacion Andina de Fomento – Caf e dal Banco Interamericano de Desarrollo – Bid attraverso il Firii (il Fondo Financiero para la Cuenca del Plata-Fonplata).

      L’IIRSA è fondamentale anche per lo sviluppo concreto dell’Unasur: qualsiasi progresso verso una maggiore integrazione regionale ha bisogno di interconnettività. Senza integrazione infrastrutturale non ci può essere, soprattutto in una zona geograficamente discontinua come quella sudamericana, integrazione commerciale, politica e sociale. Considerando l’Unione europea come paradigma d’integrazione, si è sempre sostenuto quanto l’espansione delle sue reti di trasporto, iniziata nel XIX secolo, sia stata una condizione fondamentale ed un incentivo per il processo che portò alla costituzione della Cee. L’idea di contribuire allo sviluppo attraverso gli Assi di Integrazione e Sviluppo (Ejes de Integracion y Desarrollo-Eid) è una sfida che va al di là della mèra costruzione di strade: non coinvolge soltanto il settore dei trasporti, ma implica la promozione dei sistemi produttivi, la formazione di capitale umano, programmi ambientali e di comunicazione.

      Uno studio del Bid dimostra che in tutta la regione latino-americana i costi dei trasporti costituiscono una barriera per il commercio molto più significativa delle tariffe doganali. Attraverso la costruzione di reti infrastrutturali è possibile:

    1. abbattere i costi di trasporto e facilitare lo spostamento di beni, servizi e persone;
    2. aumentare la capacità di attrarre investimenti, perché una buona rete di infrastrutture consente la localizzazione delle attività produttive, che, a sua volta, contribuisce alla formazione di catene produttive regionali;
    3. aumentare l’accessibilità ai mercati a livello sub-regionale, regionale e internazionale;
    4. creare occupazione e reddito, in particolare per la Pim (Piccola e media impresa).

     
    L’aumento della domanda di comunicazione da parte delle popolazioni, se soddisfatto, consente: il miglioramento della loro qualità di vita; un maggior accesso ai servizi per la salute, l’educazione, la mobilità; la riduzione delle asimmetrie fra i paesi.

    Tutti questi benefici contribuiscono in modo decisivo alla riduzione della frammentazione territoriale, creano più interdipendenza e, aumentando il numero degli scambi socio-economici, incidono anche sull’aumento della domanda di integrazione. Fra gli aspetti positivi appena elencati la riduzione delle asimmetrie è fondamentale e costituisce un obiettivo del quale ogni politica di integrazione dovrebbe tenere conto. Il ruolo del Brasile in questo processo d’integrazione infrastrutturale dell’America Latina è senza dubbio fondamentale, atteso che ne è il maggior propulsore e, probabilmente, anche lo Stato che più di tutti ne trarrà beneficio: confinando con la maggior parte dei paesi sudamericani, è presente in quasi tutti i progetti previsti all’interno degli assi d’integrazione e sviluppo.

    Un recente studio della Banca mondiale mostra come i paesi dell’America Latina, nel corso degli ultimi 15 anni, hanno effettuato investimenti pubblici in infrastrutture per un valore medio annuo inferiore al 2% del loro Pil, mentre, per mantenere un livello di infrastrutture comparabile con quello dei paesi dell’Asia, come Corea del Sud e Cina, avrebbero dovuto investire a tassi compresi tra il 4% e il 6% annui. Questo deficit infrastrutturale si traduce in termini di mancata crescita del Pil e di forti vincoli allo sviluppo economico, come rivela la carenza delle infrastrutture di trasporto in Brasile. Non sarà un caso che il presidente della Banca nazionale per lo sviluppo economico e sociale (Bndes) Luciano Coutinho ha reso noto che il Brasile aumenterà gli investimenti in infrastrutture nel 2012 del 10% rispetto all’anno precedente. Questo per aiutare il paese a mantenere in crescita l’attività produttiva e per neutralizzare eventuali effetti interni dovuti alla crisi economica che ha colpito Europa e Stati Uniti

    Per comprendere meglio l’importanza delle infrastrutture in Brasile basta fare un esempio: “Una tonnellata di soia brasiliana – spiegano Antonio e Carlo Calabrò in Bandeirantes – costa il 10% in più di 1 tonnellata statunitense, sebbene le campagne brasiliane siano più produttive di quelle statunitensi. Questo perché il trasporto in Brasile è 3 volte più caro che negli USA, dove la produzione agricola circola sui fiumi (navigabili, a differenza di quelli brasiliani che lo sono solo in parte visto il gran numero di dighe per le centrali idroelettriche), sulle rotaie e su strade in condizioni eccellenti. In Brasile, invece, le strade son piene di buche – solo il 13% delle autostrade è asfaltato, mentre in India lo è già oltre il 60% ed in Cina l’80%. I maggiori costi dell’usura dei mezzi di trasporto e dei tempi di percorrenza incidono sulla competitività del costo finale delle merci”.

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